Lockdown, meglio morire di fame o morire di Covid? Meglio non morire
Questa estate sia il Governo che i cittadini si sono lasciati andare in modo irresponsabile, pensando di poter vivere di rendita dopo il lockdown e cullandosi sulla stampa straniera che elogiava il modello italiano. A settembre, quindi, tornare a misure troppo stringenti è sembrato inaccettabile dal popolo e irragionevole dalla politica, per cui si è deciso di andare avanti dando un colpo al cerchio e uno alla botte: mezze misure da inasprire con un Dpcm a settimana, seguendo l’aumento dei contagi invece di precederlo, cercando allo stesso tempo di assecondare le categorie lavorative.
Obiettivo: contenere il virus provando a non scontentare nessuno. Risultato: misure insufficienti e tutti incazzati. Da settembre la gente non ha potuto lavorare comunque, e ha addirittura sviluppato un’avversione verso chi cercava di proteggerla e un rifiuto delle regole necessarie a salvargli la vita. Una follia irrazionale, alimentata da disinformazione e negazionismo, perché se c’è un pericolo che minaccia di uccidermi io pretendo la massima tutela della mia salute e l’immediata risoluzione del problema, di certo non provo a sminuire il rischio o negoziare protezioni più leggere.
Tutto tempo regalato al Covid che, con misure assolutamente inefficaci, ha ripreso a galoppare ad una velocità mai vista prima: da 2.000 a 20.000 contagi al giorno in tre settimane, da 20.000 a 30.000 in una settimana, da 30.000 a 40.000 in tre giorni. È quello che succede quando le restrizioni vengono decise mediando le previsioni scientifiche con gli umori e i timori del popolo, che variano in base ai dati giornalieri, ovvero con un ritardo di 10 giorni rispetto alla reale gravità della situazione.
Adesso la situazione è fuori controllo, oltre ogni soglia di contenimento, e destinata a peggiorare: l’ultimo provvedimento è un’altra mezza misura che prova a fermare un treno in corsa con una transenna, mentre il tracciamento è saltato (in Lombardia non si ricostruisce la catena del contagio e non si fanno più tamponi ai contatti stretti), il sistema sanitario è in affanno e si sta saturando (in alcune regioni sono sospesi ricoveri e interventi chirurgici o sono già finiti i posti letto), per metà novembre avremo superato i 50.000 casi quotidiani, a fine mese i fortunati saranno intubati nelle ambulanze e gli sfortunati lasciati morire a casa.
Bisogna essere decisi e pragmatici. Le opzioni sono due: continuare a posticipare il collasso generale fino a quando non potremo seppellire i morti (vi dice niente Bergamo?) e dovremo chiudere l’Italia fino ad aprile. Oppure agire immediatamente e con fermezza per soffocare il virus, con un lockdown totale e nazionale per 45-60 giorni, fino a inizio gennaio, con controlli e sanzioni severissime. Per come la vedo io, è sempre meglio intervenire subito sul paziente, anche se piange, anziché procrastinare sperando che l’emorragia si fermi da sola. Così com’è meglio fermare tutto per sei settimane (sfruttando il Recovery Fund per sostenere lavoratori e imprese) che tenerle aperte mezza giornata per i prossimi sei mesi, con regole che cambiano ogni settimana e disparità tra le regioni.
Meglio morire di fame o morire di Covid? Meglio non morire.
P.S. Scordatevi il Natale: se a qualcuno è rimasto un briciolo di lucidità, sarà fondamentale imporre un lockdown nazionale da metà dicembre ai primi di gennaio, a prescindere da quanti contagi ci saranno, per spegnere sul nascere ogni assurda idea di mercatini natalizi, cenoni con i parenti, feste di Capodanno e qualsiasi altra genialata possa venirvi in mente.
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