Social media, Trump e libertà di espressione: come stanno veramente le cose?
Dopo il blocco di Trump su Facebook e Twitter, ho fatto un sondaggio su Instagram (@RobertoEsposito85) e il 35% dei miei follower ritiene che i social abbiano censurato la libertà di espressione del Presidente USA, per cui è utile fare chiarezza con alcune brevi considerazioni:
1) I social network sono piattaforme private.
Sono create e gestite da aziende totalmente private, che nascono con l’obiettivo di offrire un servizio al mercato e generare profitto dagli utenti che lo utilizzano. Quando vi iscrivete ad un social network siete obbligati a compiere un’azione quasi sempre sottovalutata: accettare le Condizioni di utilizzo. Spuntando quella casella state sottoscrivendo un vero e proprio contratto con l’azienda proprietaria del social network – valido sotto ogni punto di vista legale – con cui, per poter utilizzare gratuitamente la piattaforma, vi impegnate ad accettare tutte le condizioni (come cedere i vostri dati e ricevere pubblicità profilata) e a rispettare le regole che l’azienda ha scelto per la propria piattaforma. Inoltre, questo contratto prevede che l’utente possa essere sospeso o espulso in qualsiasi momento e a insindacabile giudizio dell’azienda, se ritiene che abbia violato qualsiasi sua regola. Queste clausole sono uguali per tutti gli utenti e non sono negoziabili, per cui se state leggendo questo post significa che avete firmato quel contratto.
Questa è la prima differenza sostanziale: censurare la libertà di espressione vuol dire che qualcuno ha il potere di impedirvi di esprimere il vostro pensiero perchè non lo condivide. Bloccarvi da una piattaforma privata, invece, vuol dire che per usare quel servizio avete firmato un contratto obbligandovi a rispettarne le regole, non le avete rispettate e il proprietario ha deciso di non darvi più accesso al suo servizio.
2) I social network non sono editori.
Le testate giornalistiche, i network televisivi e gli altri editori hanno una propria linea editoriale, scelgono gli argomenti da trattare e le notizie da escludere, valutano le opinioni e le posizioni politiche da prendere e approvano gli articoli dei propri giornalisti prima di pubblicarli, in quanto anche l’editore è responsabile legalmente di ogni contenuto pubblicato insieme all’autore. I social network invece specificano chiaramente che non hanno una linea editoriale, non scelgono gli argomenti e non approvano i post scritti dagli utenti, per cui non sono in alcun modo associati ai contenuti e ogni responsabilità ricade esclusivamente sull’utente che l’ha pubblicato.
3) Politici e influencer hanno una maggiore responsabilità sui social media.
Come già avviene nel reato di diffamazione, le conseguenze e i danni prodotti dalle fake news o da un’incitazione alla violenza sono proporzionali all’autorevolezza di chi scrive e alla visibilità che raggiunge. Se sul mio profilo Instagram dico che bere la candeggina fa guarire dal Covid, il mio messaggio raggiungerà centomila utenti e alcuni di questi potrebbero davvero credermi, mentre se a dirlo è il Presidente degli Stati Uniti lo leggeranno cento milioni di persone nel mondo e tantissime si fideranno delle indicazioni di un capo di Stato. Per questo, i politici, gli influencer, i personaggi pubblici e chiunque ricopra una carica istituzionale ha una responsabilità maggiore rispetto ad un comune cittadino, che si applica anche al rispetto delle regole, proprio perchè la loro violazione ha conseguenze amplificate.
Dunque, il blocco di Trump non ha niente a che fare con la libertà di espressione, ma solamente con la violazione di un contratto che Trump ha firmato con un’azienda privata. Per gli stessi motivi e sulla base di Condizioni di utilizzo simili, anche YouTube, TikTok, Snapchat, Shopify, Twitch, Reddit, Instagram, Pinterest e tante altre piattaforme hanno hanno sospeso gli account di Trump e quelli dei suoi sostenitori.
Chiarito questo, c’è però un quarto punto da sottolineare:
4) I social network sono incoerenti, ipocriti e opportunisti.
Se le piattaforme appartengono ad aziende private a scopo di lucro, il loro obiettivo è fare scelte e azioni allo scopo di aumentare i profitti. E i contenuti creati da estremisti e complottisti sono tra quelli che generano più profitti, perché creano più interazione e dibattito, dunque più dati da raccogliere e più click sulle inserzioni pubblicitarie: non a caso, negli ultimi 10 anni è proprio sui Facebook e Twitter che tutti questi movimenti sono cresciuti grazie a migliaia di account, gruppi e pagine che hanno alimentato odio, disinformazione, teorie antiscientifiche e aggressioni mediatiche.
Inoltre, perché hanno bloccato Trump solo ora – a 15 giorni dalla fine del suo mandato – se anche in passato ha sempre violato le policy? Twitter ha favorito Trump per anni, inserendolo tra gli utenti suggeriti anche mentre diffondeva fake news e cercando ogni volta spiegazioni contorte. A questo punto il dubbio è lecito: secondo 2020CampaignTracker, per l’ultima campagna elettorale Trump ha speso 287,2 milioni di dollari in pubblicità sui social media, di cui 160 milioni di dollari solo su Facebook. Gli ultimi post di Trump sono diventati realmente pericolosi, ma un’azienda privata prende le proprie decisioni anche in base ad un’altra valutazione: semplicemente Trump non è più un buon cliente, sta perdendo il suo potere e non spenderà più centinaia di milioni di dollari, per cui rimuoverlo oggi fa guadagnare più di quanto gli fa perdere in pubblicità.
In conclusione, i social network che hanno bloccato Trump sono tra i principali responsabili del clima d’odio, disinformazione e tensione che viviamo in Italia e nel mondo. D’altronde, se fossero stati sempre attenti e severi nel rispetto delle proprie regole, probabilmente non sarebbero cresciuti così tanto e gli utenti avrebbero scelto piattaforme alternative, facendogli perdere il controllo del mercato.
La sospensione di Trump solleva dunque alcuni interrogativi che prima o poi dovremo affrontare, ripensando completamente la regolamentazione dei social media e imponendo maggiore trasparenza ed equilibrio nel rapporto con gli utenti, e decisioni non più unilaterali e insindacabili da parte delle aziende, con un maggiore controllo sul loro operato da parte delle istituzioni. Perché i social hanno costruito le loro piattaforme convincendoci ad usarle come uno strumento democratico, una piazza pubblica in cui siamo liberi di esprimerci nel rispetto della legge, ma la realtà è che abbiamo spostato la nostra intera vita nel salotto privato di qualcuno che ci spia e ci usa per guadagnare miliardi dalle nostre chiacchierate, e che in qualsiasi momento può decidere di cacciarci da casa sua e tagliarci fuori dal mondo.